Un treno di libri

La Freccia ed un treno di libri

La Freccia è la rivista che Ferrovie dello Stato distribuisce mensilmente, in 85mila copie: sulle Frecce Trenitalia, nei FrecciaLounge di stazione, in alcuni selezionati hotel, in vari stabilimenti termali, agenzie di viaggio e festival. Parliamo di quasi 5 milioni di potenziali contatti al mese e si calcola che almeno un 15-20% di loro sfogli la rivista. Significa, quindi, che oltre 700mila persone ogni mese danno un’occhiata agli articoli de La Freccia. In questo contesto il direttore della rivista mi ha proposto una forma di collaborazione mensile basata su una rubrica letteraria dal titolo Un treno di libri. La rubrica si compone di tre sezioni: la prima, In viaggio con il Prof introduce il libro del mese che consiglio a mio insindacabile giudizio; la seconda, dal sottotitolo Un assaggio di lettura, è una scelta di brani con i quali fornisco al lettore un’anteprima dell’opera scelta; la terza Lo scaffale in cui suggeriamo sei titoli al mese. Si tratta ovviamente di un lavoro in squadra tra il sottoscritto e la redazione. Sarà importante capire se i frequentatori dell’alta velocità prenderanno la buona abitudine di sfogliare queste pagine per ricavarne uno stimolo in più a leggere, a leggere e ancora a leggere.



In viaggio con il Prof: Il bambino nascosto

01 ottobre 2020 - Alberto Brandani

Sono due le voci di questo romanzo, due voci alte, risonanti e commoventi allo stesso tempo, ma ugualmente innocenti. Una è quella di Gabriele Santoro, un maestro di pianoforte, colto e un po’ misogino, che vive da solo nel quartiere malfamato di Forcella a Napoli; l’altra è di Ciro, un ragazzino di dieci anni, figlio di Carmine, uno degli scagnozzi del boss camorrista di zona. La malavita, senza troppa difficoltà, gestisce e influenza una parte importante della vita cittadina e chi nasce all’interno di un certo contesto non può far altro che crescere in fretta, bruciando spesso le tappe della vita. Per chi ha un genitore camorrista è normale utilizzare un’arma e conoscerne i componenti, è ordinaria amministrazione scippare le anziane signore ed è doveroso sapere che i debiti si pagano sempre. Un giorno, mentre aspetta un pacco, Gabriele lascia la porta di casa socchiusa e si ritrova di fronte Ciro. Il ragazzino, durante uno scippo, ha provocato la morte della madre del boss e viene subito braccato dai killer per riparare allo sgarro. Comincia così la strana convivenza tra l’intellettuale raffinato e il bambino delinquente e straccione, che si nasconde a casa sua per sfuggire alla morte. L’uno parla italiano, l’altro un dialetto smozzicato, rozzo. Sembra che fra il pianista solitario e un po’ depresso e il figlio di un camorrista che a dieci anni ne ha viste già di tutti i colori non ci sia possibilità di rapporto. Invece, nei 15 giorni della loro vita in comune, anche se Santoro sa di essere sospettato e in pericolo, scatta fra i due un affetto profondo, come se l’uno avesse bisogno dell’altro, se il piccolo potesse insegnare al grande i misteri della vita reale, difficile, violenta, sanguinosa, mentre il pianista può offrire libri e spartiti rari, lezioni di musica e poesie, accudimento e affetto. Punti di incontro, insomma: l’umanità che riesce a farci riconoscere come persone e scaccia i pregiudizi; la consapevolezza di potersi fidare di qualcuno, che inonda l’animo di una purissima serenità; la musica, considerata sia come energia che smuove emozioni profonde sia come passione da vivere e da trasmettere. S’instaura un rapporto di intensa emotività, di fiducia e rispetto, in cui il maestro prova il piacere di trovare a casa qualcuno che l’aspetta e Ciro recupera una parte della sua infanzia rubata, torna un po’ il bambino che sarebbe stato se non fosse nato in un’ambiente criminale e tragicamente insano. E sin dall’inizio è chiaro che Gabriele Santoro è determinato a correre qualunque rischio pur di proteggere Ciro, in nome di un amore profondo, più forte di quello che i veri genitori sono in grado di offrirgli. Gabriele ha un fratello magistrato, Renato, con cui è in dissidio; un padre novantenne, Massimo, vecchio professore di filosofia; un compagno di vita, Biagio, da cui si è allontanato. Dunque, deve scegliere da solo e la sua integrità interiore lo fa decidere per la protezione di un innocente, anche se sa che potrebbe costargli la vita. Inevitabile lo scontro con il fratello magistrato, è come se la compassione si confrontasse con la durezza della legge, che non fa eccezioni e potrà costargli un’accusa per sottrazione di minore. Roberto Andò, fresco vincitore del Premio Elba-Brignetti 2020, pone in modo toccante il problema dell’abitudine al male, di come la rassegnazione sia già di per sé peggiore del male stesso. Una riflessione profonda con una grande apertura morale: la misericordia supera sempre la giustizia? Sì, in questo caso il bene vince sul male, ma al prezzo del sacrificio espiatorio dell’innocente. Perciò, a ragione, il maestro dice: «Se non dovessi tornare, sappiate che non sono mai partito». Ho lasciato per ultimi i colori di Napoli, illividita nella rassegnazione che fa perdere l’intensità del paesaggio. Per ricordarci che le sfumature più limpide nascono sempre dalla serenità interiore.

 
In viaggio con il Prof: Broken

01 Settembre 2020 - Alberto Brandani

Don Winslow è autore di romanzi che hanno appassionato legioni di lettori in tutto il mondo, dalla trilogia sul cartello di Sinaloa a questo nuovo e riuscito esperimento di sei romanzi. Iscrivendosi così, anche lui, al club di autori di racconti brevi in cui, a nostro avviso, spiccano i 49 di Ernest Hemingway e quelli dell'Ohio di Sherwood Anderson. Broken in inglese significa rotto, spezzato. È un verbo forte, di pronuncia aspra, quasi onomatopeico, che vuol significare al lettore: "Qui è tutto rotto!". Il filo che unisce i sei racconti è proprio questo: «Non è importante come entri in questo mondo, comunque ci entri, ne uscirai spezzato». Winslow parla sempre degli stessi temi perché vive lì, tra il Texas e il Messico, e sa bene che i suoi personaggi sono corrotti, vendicativi e traditori magari destinati a redenzione, ma non c'è pietà neppure per i redenti. Ognuno dei romanzi descrive le stazioni di una sorta di Via Crucis del crimine: truffatori spregevoli e poliziotti non certo integerrimi, cacciatori di taglie e fuggitivi, uomini che cercano di salvare vite fuori e dentro il loro lavoro senza regole, in un clima cupo, di infernale e dantesca memoria. Winslow, che è stato investigatore privato, regista e attore, ma anche un ottimo surfista, nonché giornalista d'inchiesta sui cartelli della droga, mostra al lettore come la sua America sia ora spezzata e confusa. Il suo stile adrenalinico tiene incollati alle pagine, fa tremare e sorridere, commuovere e riflettere. Nella catena dei racconti inserisce con abilità personaggi che hanno già animato i precedenti romanzi, senza storpiarne la profonda ingenuità e l'umanità che emerge sempre e nonostante tutto.

Impareggiabile il cameo di Frankie, protagonista del suo grande romanzo L'inverno di Frankie Machine, che compare incastonato in Paradise, brillante di luce propria. L'autore ci fa assaggiare la bellezza di luoghi come New Orleans, violenta come la vendetta, San Diego con i suoi mitici surfisti, le Hawaii con le onde gigantesche e infine El Paso in Texas, al confine con il Messico, con i terribili e impietosi campi di detenzione voluti da Donald Trump. Ed è proprio nel romanzo finale, L'ultima cavalcata, che Winslow ci propone una violenta ribellione in nome di una giustizia e di un'umanità non contemplate dalle leggi. Saranno gli occhi di una bambina rinchiusa in una gabbia a cancellare l'indifferenza di Cal, poliziotto di confine, e a fargli ottenere la sua totale redenzione. Una storia provocatoria che vuol essere anche un atto d'accusa alle politiche d'immigrazione degli Usa. Non c'è mai nulla di scontato o di banale nelle parole di Winslow, che romanzo dopo romanzo ci porta, con il suo grandangolo, a indagare la condizione di un Paese trascurato, abbandonato a sé stesso, smarrito. Insomma, spezzato. L'autore ha una sua ricchezza interiore che è un tutt'uno con le avventure di alcuni grandi protagonisti cinematografici: quando leggiamo Rapina sulla 101 ci appaiono Steve McQueen e lo splendido Getaway! mentre la continua sovrapposizione di crudeltà dal vero e gli effetti metaforici come potrebbero non richiamare Kill Bill di Quentin Tarantino? Eva McNabb, la poliziotta che lavora al centralino e chiede al figlio Jimmy di vendicare suo fratello poliziotto torturato e ucciso atrocemente, è davvero una sorta di Ultima cavalcata, che segna un'infinità di punti di contatto tra il primo e il sesto romanzo. L'autore, certo, vuole ammonire sul momento particolare che vive oggi l'America, ma la profondità e la drammaturgia messe insieme in queste sei opere vanno al di là di una riflessione politica ed entrano di diritto nelle pagine della letteratura d'Oltreoceano.

 
In viaggio con il Prof: Qualcuno ti guarda

01 Agosto 2020 - Alberto Brandani

Invito alla lettura di Alberto Brandani pubblicato su "La Freccia" - Agosto 2020

Vi siete mai chiesti cosa vorreste davvero trovare in un romanzo? Forse scene di azione, dialoghi serrati, descrizioni di epoche passate? Di certo ognuno desidera livelli sempre crescenti di tensione: segreti da svelare, personaggi di cui fidarsi e di cui allo stesso tempo dubitare. Tutto questo, e molto altro, si trova nel nuovo romanzo di Lisa Jewell. Il misterioso cadavere nel primo capitolo ci indurrebbe a pensarlo come un thriller, ma questa storia è un crescendo di ossessioni. Dopo aver conosciuto le normalissime vite dei protagonisti, iniziano a emergere particolari che stonano con l’apparente tranquillità del quadro generale. I dettagli si sommano, alimentando un senso di inquietudine crescente, arte nella quale Jewell è maestra. Il lettore dubiterà inevitabilmente di ciascun personaggio e allo stesso tempo tiferà per lui. Ai capitoli finali ogni rivelazione, sempre inaspettata, si incasellerà in un inquietante puzzle di ossessioni e segreti. L’autrice riesce con abilità a far sprofondare il lettore in un sobborgo-bene di Bristol, mostrandogli l’orrore della banalità quotidiana di una ristretta comunità, fino a trascinarlo in una spirale insospettabile. Il vortice delle ossessioni parte da Tom Fitzwilliam, preside del liceo di Melville, affascinante e carismatico, di cui tutte le donne sembrano innamorarsi e di cui anche gli uomini subiscono il fascino. Ombre del passato incombono su di lui, sulla moglie troppo perfetta e su Freddie, il figlio sedicenne, ossessionato dai vicini di cui spia morbosamente ogni mossa. Il lettore si sente come seduto lì, accanto a Freddie, un po’ come un voyeur. Ed ecco che Jewell inquadra nel suo obiettivo (e nel nostro) Joey, una giovane donna poco più che ventenne che abita a due case di distanza. Joey, da subito, prova una forte attrazione per Tom, nonostante la differenza di età e il bel marito nuovo di zecca. Incredibile come la scrittrice trasformi pian piano ognuno dei protagonisti in un personaggio diverso, come se l’essere sfiorati da passioni e segreti profondi basti a privarli del tutto delle loro maschere di rispettabilità. Gli altri personaggi del romanzo gireranno intorno, seguendo il corso del vortice e facendosene fagocitare fino ad avere ruoli quasi da protagonisti. E veniamo a tre riflessioni di carattere generale, che spero aiutino il lettore nei meandri della complessa trama a più strati. Primo. Ci sono tre film che aiutano a capire come spesso la realtà non è quella che sembra. Da La finestra sul cortile di Alfred Hitchcock a Omicidio a luci rosse di Brian De Palma, fino a Blow up di Michelangelo Antonioni, i protagonisti vedono scorrere la propria vita e le abitudini, ma la realtà si spezzetta in mille frammenti e talora è addirittura incomprensibile. Secondo. Tutto il romanzo è avvolto in un’atmosfera di sesso “sospeso”: mai compiuto, mai esibito, spesso desiderato e poi reso addirittura malinconico. In tutti, e dico tutti i protagonisti, c’è una forte carica sensuale con risvolti che la lasciano sempre incompiuta. Sospesa, appunto. In ultimo, il protagonista principale del libro resta il fermo immagine, riprodotto e interpretato in mille modi e con i diversi mezzi della moderna tecnologia. Resta lì, signore implacabile che calma le ansie di chi lo scatta, pietrifica frammenti di vita che talvolta vorremmo rimuovere. E aiuta più di ogni indagine psicologica la risoluzione di casi difficili, illuminandoli con il suo imperturbabile bianco e nero. Il finale? Non lo sveleremo, così come la trama. Ma sarà scioccante e imprevedibile, in perfetto stile Jewell.

 
In viaggio con il Prof: Lo specchio delle nostre miserie

01 Luglio 2020 - Alberto Brandani

Invito alla lettura di Alberto Brandani pubblicato su "La Freccia" - Luglio 2020

Sabato 12 luglio 2014. Pierre Lemaitre e sua moglie, donna colta e arguta, sono all’Elba. Lui deve ricevere il Premio internazionale Raffaello Brignetti – per inciso, mi sembra di ricordare che sia l’unico riconoscimento letterario che lo scrittore ha ricevuto in Italia. Siamo a tavola, gustando del buon pesce, davanti la darsena medicea di Portoferraio, fiammeggiante nei colori dei Macchiaioli. Lemaitre mi dice che per anni gli editori hanno respinto i suoi manoscritti e che è stato più volte tentato di restare a fare l’insegnante. Ma la moglie lo ha sempre spinto a scrivere e a raccontare storie perché, diceva lei, lui le storie le sa raccontare. Il Premio Brignetti gli fu assegnato per il bel libro Ci rivediamo lassù, primo di una monumentale trilogia di cui il volume che abbiamo scelto per La Freccia è l’ultima parte. Anche se ognuno può essere letto separatamente. Lo specchio delle nostre miserie è un’opera di impianto ottocentesco che contiene molte storie, mescola sapientemente Dumas e Balzac, Hugo e la sapienza noir di Hitchcock. D’altronde, il principio ottocentesco secondo il quale per raccontare il mondo bisogna raccontare delle storie è il punto di forza dei libri di Lemaitre. Qui fa da sfondo la Francia del 1940, in un tempo sospeso e incerto, non si sa ancora se ci sarà una guerra, finché i tedeschi non attraversano veloci e imponenti le Ardenne e si dirigono implacabili verso Parigi. La nazione si guarda allo specchio e vede le sue miserie, i compromessi, le vuote spavalderie e i falsi eroismi per nascondere i tanti morti. Inizia così un corteo di eroi e mascalzoni, truffatori e uomini semplici, una giostra di protagonisti che gira sullo sfondo del disastroso esodo dei profughi dalla Parigi occupata e travolge con continui colpi di scena, scatenando nel lettore infinite emozioni. Una scrittura sempre cinematografica e sempre letteraria, un copione in cui la “drôle de guerre” è una condizione che permette di vivere le contraddizioni dell’anima e di definirle in un destino più ampio. Tutto il libro risente di ciò che accade quando a guidare sono le paure e il terrore: la perdita dei riferimenti morali e il rischio di smarrire i valori umani. È a questo punto che i protagonisti “crescono”, si svelano, intrecciando le loro esistenze. È Louise, l’eroina del romanzo, è una giovane donna ferita con storie d’amore naufragate, 30 anni, nubile e potenziale zitella, un orologio biologico che suona molto forte. Desidera più di ogni altra cosa la maternità, principio ispiratore e valore fondamentale del romanzo: la maternità della vergogna, quella impossibile di Louise e quella violenta della madre adottiva di Raoul che lo renderà infelice. E poi la maternità di Alice nei confronti del marito e di tutto ciò che la circonda. Désiré Migault è avvocato, medico, pilota di aereo, funzionario del ministero della Comunicazione e anche sacerdote, falso e bugiardo sempre. Lemaitre ammette, sorridendo, che il personaggio gli ha preso la mano ed è divenuto più importante di quanto avesse previsto. Altri destini sono intrecciati meticolosamente («Io sono l’orologiaio», dice di se stesso Lemaitre): la madre di Louise, lettrice bovarista, il sergente Gabriel, il caporal maggiore Raoul, malvagio alla Quentin Tarantino, Fernand e l’amata moglie Alice, donna bellissima secondo i canoni anni ‘50, con quel suo seno da maggiorata che accende i desideri di tutti i maschi del romanzo. Lungi da me svelare la trama, dovete immergervi in essa e tenere a bada le vostre emozioni: con Lemaitre non si scherza.

 
In viaggio con il Prof: Affidati a me

01 Giugno 2020 - Alberto Brandani

Invito alla lettura di Alberto Brandani pubblicato su "La Freccia" - Giugno 2020

Nel titolo vi è già il nocciolo del romanzo: «Affidati a me», dice Serge Joncour al lettore, «e non ti troverai male». “Affidarsi”, non “fidarsi”. Senza cambiare vita, marito o la sua agiata esistenza, Aurore trova che «c’è qualcosa di nuovo, oggi nell’aria». Non si parla che di una storia d’amore, della ricerca di una boa nel mare mosso della vita. Ludovic e Aurore. Un uomo e una donna così diversi per estrazione sociale, idee, visione della vita. Una coppia improbabile. Eppure, oltre alla naturale ma non scontata attrazione fisica, tra loro crescono piano la fiducia e il rispetto. Ludovic è un omaccione di 92 chili alto due metri, ex giocatore di rugby, sradicato dalla campagna per fuggire il dolore lancinante della morte di sua moglie. Tre anni sono passati, ma sembra ieri. Fa un lavoro difficile, misero e ingrato: recupera piccoli crediti dalla povera gente per conto di altra povera gente. Aurore è una giovane borghese di gran classe, sposata con Richard e con due bei bambini. L’atelier di moda che dirige reca in alto il suo nome: Aurore Dessage. Due universi opposti, in comune hanno solo il cortile di ingresso dello stesso stabile: lei scala A, appartamenti alti e ariosi; lui scala B, dimore piccoli e fatiscenti. Le finestre di fronte. Istintivamente si evitano, una sorta, si direbbe oggi, di distanziamento sociale. Ma il destino congiura a intrecciare le loro vite scatenando una catena di eventi inimmaginabili. Lo scenario è quello del cortile, la quinta di fondo una Parigi affascinante e malinconica, avvolgente e tenera. L’abilità dell’autore di questo romanzo tipicamente francese sta nel fare in modo che le vite di Ludovic e Aurore si intreccino pian piano privandoli della loro corazza sociale e lasciandoli nudi con le loro ansie, le paure, in un turbinio di emozioni talvolta sospeso da una sorta di ribrezzo fisico. Due anime in alto mare che galleggiano a malapena senza nessun appiglio. Joncour, con la delicatezza di parole sempre appropriate (eccezion fatta per l’irreale scena del laghetto ghiacciato) immerge il lettore in una storia che via via prende forma sotto i suoi occhi, anche attraverso l’eccellente caratterizzazione dei personaggi, punto focale dell’intera struttura narrativa. Leggendo, viene fatto spontaneo di domandarsi come quelle due figure agli antipodi possano trovare un punto di contatto tale da scatenare un incontro così vitale e magnetico. Il desiderio violento, lontanissimo dagli schemi che regolano le loro vite, li pervaderà facendoli sentire più leggeri e più consapevoli di sé stessi. In quel suo presente così movimentato, Ludovic rappresenta per Aurore il punto di stabilità. Nonostante amarla porti con sé una serie di rischi, nonostante lei rappresenti tutto ciò che lo disgusta e da cui vorrebbe fuggire, l’attrazione, l’impellente bisogno di aiutarla e, sì, l’amore avranno la meglio. E quel vuoto sorprendente che nasce ogniqualvolta spariscono in sordina l’uno dall’altro, nella propria parte del cortile, si percepisce in ogni pensiero, in ogni silenzio. Ludovic però c’è sempre: sia per «allontanare i corvi che l’atterriscono», sia quando un guasto fa quasi esplodere il bagno di lei. E mi fermo qui per lasciarvi intatte le sensazioni dell’intera trama. Alle volte l’esistenza necessita di un’ancora di salvezza, così vicina e che niente ti chiede. Repose-toi sur moi.

 
In viaggio con il Prof: Il silenzio delle ragazze

01 Maggio 2020 - Alberto Brandani

Invito alla lettura di Alberto Brandani pubblicato su "La Freccia" - Maggio 2020

Quando Limesso, piccola città alleata di Troia, viene distrutta dai greci, Briseide, figlia di un re, viene catturata come tutte le altre donne e consegnata come un trofeo al grande Achille. A 19 anni diventa schiava, concubina, infermiera, pronta a soddisfare ogni desiderio del suo padrone. È lei il premio di guerra di Achille il Pelide, proprio colui che ha letteralmente “macellato” tutta la sua famiglia. L’epica guerra di Troia è sempre una magnifica storia da leggere, una storia che parla di eroi, semidei, sconfitti, malvagità. E di donne, schiave e regine. Qui, dove tutto comincia con una donna e per una donna, le donne sembrano mute, asservite. «Alle donne si addice il silenzio», si legge nel romanzo di Pat Barker, che si è posta l’obiettivo di raccontarci la guerra di Troia con gli occhi delle schiave. L’impianto è teatrale, quasi si colgono le quinte di scena che di momento in momento legano la storia. È un manifesto femminista, crudo e violento, una perfetta sceneggiatura per un film di Quentin Tarantino, trucido e splatter, con ossa, budella e topi morti a iosa che vanno avanti per pagine e pagine. Sappiamo bene che le descrizioni di guerra sono tremende anche nei grandi classici, ma pure che le frasi più celebri della letteratura si costruiscono per sottrazione. «La sventurata rispose» di manzoniana memoria non è forse quel che resta dopo che Manzoni ebbe sottratto pagine e pagine? Attraverso il racconto disincantato e verace di Briseide, entriamo nell’accampamento greco dove si aggirano Agamennone, Patroclo e Ulisse. I loro sentimenti, le loro turbe, le passioni. E ci sembrano meno dèi e più semplicemente uomini. Pat Barker ha cercato di dare voce a quei soggetti della storia che mai ne hanno avuta: le donne mute della terribile guerra di Troia, capaci di guardare ogni cosa con altri occhi e altro cuore. Eppure, riflettendo attentamente, cogliamo che con il tempo ogni confine nell’accampamento acheo è destinato a sfumarsi, ogni separazione sembra sfaldarsi fra chi condivide la stessa condizione umana. La posizione dei guerrieri achei è ben diversa da quella delle schiave troiane, ma alla fine il destino di tutti, uomini e donne, vincitori e sconfitti, è subordinato alla stessa logica violenta e disperata della guerra. È in questo contesto che può nascere e materializzarsi un sentimento affettuoso verso il proprio rapitore o un gesto ospitale verso il più acerrimo nemico. Ed è qui che, al di là delle intenzioni dell’autrice, svettano i tre protagonisti di un romanzo che colpisce al cuore. Di Briseide abbiamo già detto, ma non possiamo dimenticare il grande amore che suscita Patroclo in lei e presso Achille: un bimbo strappato alla sua famiglia per un tragico gioco finito male. E che dire della splendida malinconia di Achille, abbandonato a sette anni dalla madre, che si immerge possente nel mare nella speranza di carpirne qualche frase? Nell’animo dei tre protagonisti, in particolare di Achille e Patroclo, scende un pianto disperato che viene recuperato come visione onirica della vita e balsamo lenitivo delle angosce, delle paure e malinconie di noi comuni mortali. Sono pagine e sensazioni che, per dirla in gergo teatrale, "valgono il biglietto".

 
In viaggio con il Prof: La misura del tempo

01 Aprile 2020 - Alberto Brandani

Invito alla lettura di Alberto Brandani pubblicato su "La Freccia" - Aprile 2020

Tutte le volte che in tv appare Rosario Fiorello o suo fratello Beppe, la maestra Susanna, a me cara, esclama: «Che soddisfazione deve essere per la mamma averli tutti e due belli, bravi e buoni! La madre dei Gracchi!». A parte il fatto che la signora Fiorello di figli ne ha quattro (e mi sembrano tutti bravi), questa battuta è rimbalzata nella mia mente al momento di scegliere il libro di aprile tra altri due fratelli colti, fascinosi e perbene (chissà la madre…), tra le pennellate da Macchiaioli dell’affresco fiorentino e toscano di Francesco Carofiglio (L’estate dell’incanto) e il thriller completamente sui generis del fratello Gianrico. Ho optato per La misura del tempo, a metà strada tra il giallo, un trattato di diritto penale, gli amori svaniti di un tempo e continue variazioni ritmiche che ne fanno un romanzo sospeso tra riflessione e thriller, senza che mai si stacchi la corrente tra autore e lettore. In una conferenza, molti anni or sono, ricordo di aver sostenuto che ci sono due cose contro le quali nulla si può: il tumore e la giustizia ingiusta. Se queste cose accadono, la sventurata vittima può solo sperare di uscirne, prima o poi. Certo è che il tempo logora talvolta in via definitiva gli involontari protagonisti di queste vicende. Anche il cliente di Guerrieri, l’avvocato ormai classico di Gianrico Carofiglio, sembra rientrare in questa categoria: accusato di omicidio, la giustizia ingiusta si accanisce contro di lui, ma del finale del thriller non svelerò nulla. L’amico e scrittore Diego De Silva aveva suggerito all’autore di scrivere un manuale di procedura penale, «convinto che un testo universitario firmato da un romanziere di successo sia un supporto didattico che affrancherebbe gli studenti dalla pedanteria di tanti libri». A nostro modesto avviso Carofiglio non ha dato retta a De Silva, pensiamo piuttosto che abbia voluto condurre con una prova di forza il lettore dentro labirinti inaccessibili a tutti se non a quei penalisti che frequentano assiduamente le aule dei tribunali e apparecchiano una perenne dialettica tra le ragioni della difesa e dell’accusa. La scelta di riprodurre integralmente parte degli atti processuali con caratteri tipografici specifici risponde alla spietata esigenza del legal thriller, che non dice mai se il protagonista è colpevole o innocente, solo se viene assolto o condannato. Il grande Nino, noto penalista toscano, è solito definire il processo penale come un duello western: vince solo chi si salva. Una seconda osservazione è relativa alla “misura del tempo”, un titolo se vogliamo proustiano. Mai come in questa opera il tempo si muove secondo i sussulti dell’anima, i ricordi del cuore e la conturbante bellezza di Lorenza. Quando tale bellezza è descritta così bene in pochi frammenti, vuol dire che attimi di quella vita amorosa sono rimasti incompiuti. L’avvocato Guerrieri, eroe riluttante ma non troppo, a metà tra la stanca malinconia di Humphrey Bogart in Casablanca e i trench all’americana di Raymond Chandler, trova un qualche sollievo negli abbacinanti chiarori del lungomare di Bari. E come sia fisicamente il protagonista lo scoprirete facilmente girando pagina.

 
In viaggio con il Prof: Ladies Football Club

01 Marzo 2020 - Alberto Brandani

Invito alla lettura di Alberto Brandani pubblicato su "La Freccia" - Marzo 2020

C’era una volta un bambino dotato per il nuoto. La famiglia a cinque anni glielo impose. In realtà amava il pallone e arrivato a dieci anni disse, tutto serio, alla madre: «Da oggi andrò solo a calcio». Trent’anni dopo, da manager affermato, continua a giocare nelle squadre di seconda categoria. E, in una vita ricca di incontri ai massimi livelli, non può certo fare a meno di passare le sue domeniche nella squadra del Radicondoli. Del resto, Bernard Shaw diceva, grosso modo, che il calcio racchiude in 90 minuti l’intero universo e il Balzac di questo epico sport, Gianni Brera, aveva per primo colto nel campionato di calcio una metafora della vita. Ma su questo torneremo.

Con il suo bel libro Stefano Massini ci regala un’autentica ballata. L’architettura linguistica e teatrale racchiude i capitoli in una cornice ideale che parte dalla squadra e finisce a Stamford Bridge. Il risultato scenico e acustico è a dir poco spettacolare: nel leggere i numeri delle maglie e i nomi sembra di sentire gli altoparlanti dello stadio e, per dirla come il grande Mourinho, «il rumore dei nemici».

Ma veniamo alla storia. È il 6 aprile 1917. Gli Usa entrano in guerra, il bollettino dei morti si allunga ogni giorno e Lenin sta preparando la rivoluzione russa. Nel cortile di una fabbrica di munizioni di Sheffield, durante la pausa pranzo, un gruppo di operaie prende a calci una palla, un prototipo innocuo di bomba, abbandonato là. È il calcio d’inizio di questa storia, il primo sfogo di rabbia di queste donne: mariti, padri e figli sono in guerra, mentre loro combattono contro la solitudine e lo schifo. Undici donne, 11 storie, 11 guerriere che vogliono fare la loro parte. Massini disegna ciascuna, c’è chi legge Marx, chi vuole essere invisibile oppure diventare suora. Penelope parla in un modo tutto suo e vede le cose come stanno, Rosalyn, enorme, difende la porta come se ne andasse della sua stessa vita. Queste povere anime vengono ricamate con lo stesso filo e poi sollevate in alto tutte insieme. E si fondono in una sola meravigliosa entità: le Ladies Football Club. Hanno insegnato loro a essere pazienti e compassionevoli crocerossine. E invece diventeranno una squadra, la prima in assoluto, che osa sovvertire le regole di un gioco allora solo maschile. Indosseranno pesanti divise nere e si sentiranno vive insieme, sul campo. Con l’entusiasmo di prendere a calci una palla e infilarla in rete (non importa quale!).

Saranno, insomma, le nostre eroine. A volte perdono, ma quando Rosalyn Taylor scappa via stringendo un pallone, forse tutto lo stadio di Stamford Bridge sarebbe voluto fuggire con lei. Beppe Severgnini sarebbe d’accordo. Il campionato di calcio è una metafora perfetta della vita e del campionato del potere con quattro regole ferree:


1. quantità (intesa come allenamento e dedizione), è solo un prerequisito;
2. qualità, estro, fantasia intelligente;
3. benevoli, perché dai gravi infortuni non sempre si riesce a risollevarsi;
4. fisico bestiale, per sopportare le avversità, i veleni, le cattiverie e le ingiustizie.

Sapendo che alla retorica domanda «ma ne valeva la pena?» si possa rispondere senza incertezze (le ragazze inglesi e tutti noi) «sì, ne vale la pena».

 
In viaggio con il Prof: Cambiare l’acqua ai fiori

01 Febbraio 2020 - Alberto Brandani

Invito alla lettura di Alberto Brandani pubblicato su "La Freccia" - Febbraio 2020

A Livorno, in via dell’Ardenza, c’è il Cimitero della Purificazione. L’ingresso è un viale odoroso, sulla destra cappelle di famiglie livornesi della buona borghesia, a sinistra i marmisti che lavorano tranquilli. Il cielo è sempre terso e il salmastro arriva prepotente. Ovunque un senso di pace. Attraversando la strada, al numero 2 c’è il negozio di fiori gestito dalla signora Graziella e dalla figlia Laura e, prima di loro, dalla ottuagenaria Silvia. Ricordano i nomi di tutti, le dimensioni dei vasi, i fiori preferiti. Consigliano sempre orchidee e margherite e hanno sulle labbra parole di composta allegria.
È proprio tutto vero, allora, mi son detto leggendo l’incipit del bel libro di Valérie Perrin. Nel romanzo Violette Toussaint è la guardiana di un piccolo cimitero. Gentile, solare e dal cuore grande. Durante le visite ai loro cari, tante persone la vanno a salutare. Un giorno si presenta un poliziotto con una strana richiesta: sua madre, recentemente scomparsa, ha espresso la volontà di essere sepolta in quel lontano paesino, nella tomba di uno sconosciuto signore del posto. Da qui si dipana una ragnatela di intrecci e sussulti che tengono avvinghiato il lettore fino all’ultima riga, lasciando però a ogni capitolo una sua peculiarità di sentimenti; ogni pagina fa commuovere e piangere, ma anche lievitare di passione e di speranza. Una speranza alimentata dallo stesso amore che pervade l’intero libro.
Cambiare l’acqua ai fiori è una storia d’amore, anzi una storia dell’Amore in tutte le sue forme, da ogni prospettiva. Amore per un uomo, per una figlia, a volte amore proibito o non ricambiato, amore che resiste anche alla morte. Un sentimento che ci fa gioire, certo, ma anche soffrire, di un dolore che s’insinua più in profondità di qualsiasi altra cosa.
Violette è la protagonista assoluta attorno alla quale ruotano tutti gli altri personaggi, una ragazza sbattuta dal destino, ma che non ha paura d’amare. Si butta a capofitto e resiste, anche quando fa male.
Philippe Toussaint è suo marito. Bello e dannato, rovinato dall’amore morboso dei suoi genitori, donnaiolo incallito, innamorato da sempre della giovane moglie dello zio, che però non insidia proprio per amore (dello zio), inconsapevolmente innamorato di Violette, nonostante le sofferenze che le infligge. E poi il sesso. Tanto sesso. Raccontato in modo così naturale, da farlo apparire e scomparire, eppur tuttavia un balsamo della vita.
La struttura della storia è basata su piani temporali differenti e sull’intreccio di vite diverse, una legata all’altra, magnificamente raccontate. Sarà bene, però, non svelare altro per non rovinare il perfetto incastro costruito dall’autrice e non indicare la via d’uscita di questo labirinto di emozioni.
Leggere il romanzo è come bere amore a lunghi sorsi, assaporando i sentimenti attraverso l’impronta fotografica di Valérie Perrin. Merito, forse, anche del rapporto strettissimo, di vita e di lavoro, con Claude Lelouch, uno dei menestrelli d’amore della cinematografia mondiale. Immergiamoci, allora, completamente nell’atmosfera di una piccola comunità, paradossalmente allegra, che quasi riesce a formare una famiglia in un luogo di morte: un piccolo cimitero di provincia che ospita la Vita, quella vera, autentica, che sopravvive a ogni dolore. Pronta, come Violette, a meravigliarsi per una goccia di rugiada sulla corolla di un fiore.

 
In viaggio con il Prof: L'interprete

01 Gennaio 2020 - Alberto Brandani

Invito alla lettura di Alberto Brandani pubblicato su "La Freccia" - Gennaio 2020

È una riflessione sul presente, o meglio su ciò che realmente facciamo perché il nostro vissuto sia il più vicino possibile ai nostri ideali. Spesso siamo vittime di meccanicismi, agiamo senza pensare, talvolta quando ci soffermiamo a riflettere quasi temiamo i nostri pensieri. Anche Eva, la protagonista del romanzo di Annette Hess, sempre di più, comincia a sentirsi estranea alle sue abitudini. Non riesce a trovare un confronto e neanche un conforto nella sua famiglia. Si fanno strada in lei le contraddizioni tra ciò che sente giusto e il modo in cui decide di agire.
Francoforte 1963. Eva è una giovane interprete dal polacco, in procinto di sposarsi. Nel suo lavoro traduce di solito documenti legali e commerciali. Una sera, però, viene chiamata d’urgenza per un lavoro insolito. Siamo nell’anno del processo di Francoforte-Auschwitz, il primo procedimento giudiziario della Germania post bellica a sensibilizzare l’opinione pubblica sui crimini nazisti. E proprio Eva, nonostante l’opposizione della famiglia e del fidanzato, accetterà di essere l’interprete di questo maxi processo contro i capi dei lager nazisti.
Da questo momento cominciano in lei i dubbi, la spasmodica curiosità per una realtà così vicina nello spazio e nel tempo, ma anche così lontana dal suo quotidiano. Il processo andrà avanti per mesi, coinvolgendola sempre di più. I racconti dei testimoni toccheranno le corde più profonde della sua anima e del sentire comune, seppure in molti sembreranno ancora diffidare di quelle parole. Quando si comincerà a parlare di camere a gas e di torture nel campo di Auschwitz, Eva dovrà fare i conti con una nuova realtà da cui resterà all’inizio schiacciata.
Annette Hess, attraverso la sua giovane interprete, riesce a sviscerare dal profondo la reazione del popolo tedesco di fronte a quanto accaduto nei campi di concentramento. L’estraneità lascia il passo allo sgomento e all’incredulità e la protagonista dovrà scontrarsi con un’amara verità, che riguarda non solo il suo Paese, ma anche la sua famiglia. Sarà per lei un rito di passaggio, da giovane timida e sottomessa qual è, questa nuova consapevolezza la farà diventare, non senza sofferenza, indipendente e determinata. La graduale presa di coscienza sarà il trampolino di lancio verso la sua emancipazione. Con coraggio Eva sceglierà di voltare le spalle alla famiglia che scopre essere stata complice consapevole e silente di questo abominio e prenderà la strada che veramente vuole percorrere.
Il processo di Francoforte, in verità, fu un processo nel processo. Da una parte il procedimento giudiziario contro gli imputati nazisti, dall’altra il processo sociale contro l’indifferenza e la negazione dell’intera nazione di fronte ai crimini efferati compiuti da quegli imputati che, all’opinione pubblica, sembravano innocui padri di famiglia e non assassini seriali autorizzati dal governo.
In questo romanzo si parla di impegno e di rinascita, ma anche di omertà, vergogna e indifferenza. E si fa luce alla generazione postbellica e a quello che il nazismo ha loro lasciato.



 
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